C’è qualcosa nell’illuminazione di alcuni luoghi che ci fa storcere il naso, ci provoca
un’instantanea e straniante sensazione di inquietudine. Succede quando ad esempio
guardiamo l’immagine di un corridoio di ospedale completamente vuoto, flebilmente illuminato da pannelli fluorescenti.

Capita anche quando osserviamo una stazione di benzina, immersa
in una fitta nebbia e abbandonata nel mezzo di una strada provinciale, illuminata solo da alcune luci eteree.

Si parla, in questi casi, di spazi liminali, ovvero di luoghi di transito e connessione (dal latino “limen”, confine), abitualmente privi di soggetti che generano nell’osservatore un senso di inquietudine, nostalgia e malinconia.
Gli spazi liminali, reali o immaginari, sono da sempre esistiti ma, grazie all’avvento di Internet e delle intelligenze artificiali, su di essi si è sviluppata una letteratura in materia solo nell’ultimo ventennio. Alcuni studi sostengono che gli spazi liminali risultino stranianti in quanto si tratta di luoghi familiari privi di qualcosa che in genere li caratterizza positivamente, come l’assenza di individui o di una luce serena e piacevole.
Un’ottima ed esaustiva definizione degli spazi liminali ce la fornisce il filosofo Peter Heft quando dice che il senso di inquietudine può essere avvertito quando un individuo assiste a una situazione in un contesto diverso da quello che si aspetta. Così un grande centro commerciale illuminato a festa o un padiglione circense ricco di colori diventano disturbanti se fotografati vuoti o illuminati in maniera non conforme.

Definire in modo specifico l’illuminazione tipo di uno spazio liminale risulta molto difficile perché si chiama in causa tutta una serie di valori soggettivi e legati alla percezione che ognuno ha delle cose che vede. Tuttavia possiamo provare a dipingere un quadro fatto di scene luminose ricorrenti quando si parla di spazi liminali.
C’è per esempio una ragione se nei grandi locali degli aeroporti, spazi di passaggio per antonomasia, si ripetono insistentemente filari di incassi a soffitto deputati a fornire un’illuminazione asettica e neutra che finisce per apparire monotona e alienante.

Pensate a un terminal vuoto a tarda notte: i grandi spazi, le ampie finestrature che lasciano filtrare solo il buio della notte, il silenzio di pareti bianche o grigie, il tutto gelidamente illuminato da luci di servizio. Sono luci necessarie, certo, ma nulla di più. Alle volte, anzi, sembra quasi di avere a che fare con una luce che nasce con l’intenzione di rasserenare e che finisce per inquietare. La ripetizione in serie, il ritmo sempre uguale, la monotonia sono caratteri che rendono una luce o un sistema di luci particolarmente affini alle caratteristiche degli spazi liminali. E così, oltre agli aeroporti, pensiamo ai lunghi corridoi di un albergo costellati di applique tutte uguali (assurti a icona degli spazi liminali da alcune celebri pellicole del cinema), ai tunnel di passaggio delle metropolitane sotterranee, ai parcheggi multipiano e via dicendo.
Gli spazi liminali non sono solo aree di passaggio illuminate in maniera inquietante. Molte volte sono luoghi - come abbiamo visto - familiari ammantati da un alone di mistero, malinconia e nostalgia. Pensiamo ad esempio allo scorcio di un parco giochi, scarsamente illuminato ma comunque evocativo di momenti felici e gioiosi.

Oppure immaginiamo una veduta di uno stabilimento balneare in inverno, offuscata dalle nebbie e illuminata solo dalle lampare del mare o da qualche luce di un peschereccio in lontananza.

Sono in questo caso i contrasti a rendere la scena liminale, creando una sorta di cortocircuito nella nostra mente, pigramente abituata agli standard che si è costruita nel tempo. Notiamo in questo caso che non solo le luci artificiali ma anche quelle naturali, se abbinate a un particolare momento della giornata e a determinate architetture, aiutano a definire uno spazio liminale.
Ne deduciamo dunque che l’illuminazione di una scena è un fattore fondamentale per
investire la scena stessa di significati psicologici, così come lo sono, ovviamente,
l’architettura, i colori e tante altre caratteristiche. Generare scene di luce che siano coerenti con l’intorno e con le aspettative di chi abita gli spazi è compito di noi lighting designer ma alle volte, pur rispettando tutti i criteri della buona illuminazione e perseguendo un concept chiaro, è inevitabile incappare in effetti distorti e stranianti generati dagli abissi delle nostre menti.